Omousia vs omoiusia
di Silvio Fuso
"...il credere in una realtà essenziale nascosta dietro le apparenze fornisce una naturale razionalità all'arte astratta"
Wikipedia: biografia di Kandinskij
Bisognerebbe partire dal Parmenide di Platone per sceverare il rapporto tra identità e analogia, in breve, tra omousia e omoiusia. Uno e molti, problema arduo e precluso ad un approccio concettuale, punctum dolens per i filosofi, matrice di possibili eresie per i teologi.
Dionigi e Proclo, maestri indiscussi della questione, e i loro innumeri commentatori testimoniano del labirinto che ci aspetta ogni qualvolta si voglia oltre passare le flammantia moenia dell'universo visibile.
La rappresentazione del mondo, diciamo rozzamente così, accompagna l'uomo fin dalle sue mitiche origini là dove arte, magia e religione erano ancora felicemente confuse; ma la rappresentazione è comunque immagine di un'immagine, complicazione di ogni perceptum, persino nella più bieca accezione funzionalista.
E quindi problema, meno in una terra ancora piena di dei (non dimentichiamo però Platone) di più in una prospettiva monoteista.
Balzando oltre i secoli e le brutali soluzioni iconoclastiche: è mai possibile rappresentare l'essenza,mettere "in figure l'assoluto? E come soltanto tentare di concepire una somiglianza con il grande ALTROVE?
Forse si tratta di abbandonare una buona volta il pensiero stesso di una possibile analogia fra uno e molti: lasciamolo ai nostalgici del dualismo struttura/sovrastruttura e del materialismo dialettico, e di abbracciare invece la via "scandalosa" dell' identità numerica.
Là dove, nel "profondo abisso", potere proprio e potere altrui si incontrano nell'unica possibile dimora dell'uomo.
E dove "se vediamo una forma bella, è il Suo riflesso che traluce" ?