La vita, fino in fondo: Niki de Saint Phalle

di Patrizia Catalano

Niki de Saint Phalle: Structures for Life, inaugurata al MoMA di New York lo scorso 11 marzo, è un doveroso contributo a una importante artista del secolo scorso.

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La Saint Phalle era una donna libera, che ha contribuito con il suo lavoro, per certi versi poco allineata alle regole dell’art system della seconda metà del ’900, a dare una visione più libera, più hyppie dell’arte moderna del secondo Dopoguerra.

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Certo non era una sprovveduta madame de Saint Phalle e le sue origini aristocratiche l’hanno indubbiamente aiutata a inserirsi nel panorama artistico europeo e statunitense. Ma aveva ‘gli attributi’ e sapeva mettersi in gioco.

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Niki nasce in Francia nel 1930 ma cresce a New York. A soli 18 anni sposa lo scrittore Harry Matthews. La coppia si trasferisce a Parigi dove la Saint Phalle nel 1952 viene ricoverata a causa di un esaurimento nervoso. L’arte diventa una terapia, una via verso la guarigione. Per Niki la strada maestra di tutta la sua vita. Che persegue in modo eclettico: dai gioielli alle boccette di profumo (merchindising che le consentono di realizzare i suoi progetti più grandi) ai disegni, alle sculture fino ad arrivare alle opere-installazione come il famoso Giardino dei Tarocchi.

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MoMA presenta una raccolta ricchissima di questo approccio su più scale: 200 opere, a partire dagli anni ’50. Ricostruendo la sua carriera vale la pena di ricordare che i primi riconoscimenti l’artista cominciò ad averli negli anni ’60 con i suoi Tiri shooting paintigs, delle performance durante cui il pubblico o l’artista sparavano in modo liberatorio su dei rilievi di gesso, facendo esplodere sacchetti di colore.Ma saranno le sue Nanas, sculture femminili dalle forme generose, colorate e infantili a segnare particolarmente il suo lavoro di artista. Una visione di un mondo onirico fatto di figure arcaiche e pop al tempo stesso, un omaggio ai cromatismi di Gaudì ma anche alle Meninas di Valasquez.

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Frutto di un immaginario destinato a dare vita anche a progetti di largo respiro dove la soglia tra arte e architettura diventa sempre più sottile. Tra gli esempi più intriganti Hon/Elle, del 1966 un corpo femminile gigantesco e prosperoso: (28 metri di lunghezza, 6 metri di altezza e 9 metri di larghezza), disteso e visitabile anche all’interno entrando da un’emblematica vagina. Un’opera certamente discussa ma che la fa entrare a pieno titolo nel gruppo dei Nouveaux Réalistes con quel Jean Tinguely, che sposerà e con cui realizzerà un sodalizio artistico estremamente fecondo.

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Per questo progetto Niki si autofinanzia e lavora con grandissima energia. Ancora una volta sembra che l’arte per lei sia anche e soprattutto una terapia per dimenticare violenze subite dal padre ancora adolescente e mai fino in fondo dimenticate e risolte. La fama è oramai consacrata e lavora ad ambiziosi progetti, ritorna negli Stati Uniti a san Diego dove nel 2002 la perderemo a causa di un problema polmonare causato dall’eccesso di esalazioni tossiche provocate da alcuni materiali con cui abitualmente lavorava.

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