L’enigma come forma simbolica: Federica Marangoni a Milano
di Maurizio Barberis
La galleria milanese CIE Contemporary ha proposto una rivisitazione del lavoro dell’artista veneziana Federica Marangoni. Una mostra, Enigma, curata da Viana Conti e Christine Enrile.
“...Egli vedeva la vita come come un enorme nodo che la morte scioglie; però considerava pure la morte come un nodo rifatto che la nascita scioglieva a sua volta; il sonno era per lui il doppio nodo; lo scioglimento completo del nodo stava secondo lui nell’eternità che trovasi al di fuori della vita e della morte...”
( Giorgio De Chirico, Ebdomero,)
Enigma è parola ambigua che trova memoria soprattutto nel destino di Edipo, mito molto celebrato nell’arte dell’otto e del novecento, e caro ai simbolisti, rappresentato da De Chirico in due famosi dipinti, l’Enigma dell’ora e Edipo e la Sfinge. Il riferimento non è alla memoria di un oscuro passato e neppure alla preveggenza di un possibile futuro, bensì all’idea del viaggio finale che ci attende e della ragione ultima della nostra presenza nel mondo. Domanda che atterrisce gli animi di quanti pensano alla vita come ad una casuale concatenazione di eventi micro-atomici.
Federica Marangoni non sembra affatto intimidita dalla questione e affronta il tutto con vigoroso cipiglio veneziano, traslando fatti e concetti da mondi lontani e riproponendoli in un sapiente metissage che combina Freud, Jung, Esher e i roghi di Farenheit 451.
Il risultato sorprende e la memoria si fa concreta rivisitazione di esperienze passate, trasformando in immagine la materia del ricordo. L’affermazione vagamente apodittica che campeggia sull’opera, dominata dalla rossa luce di un neon, ci invita perentoriamente a riconsiderare la lettura come una forma di attività particolarmente rischiosa. Il che è voluttuosamente vero, come appare dall’indice dei cataloghi delle maggiori case editrici, e dal livello incredibilmente modesto del comune sentire, appiattito dall’uso smodato dei media informatici. Ma il senso che Federica dà all’apodittica affermazione è un diretto j’accuse nei confronti di un metafisco e orwelliano potere che sembra temere (o volere) sopra ogni altra cosa la carta stampata. Acqua passata, or non è più.
Ma il cuore della mostra è viceversa dato, a mio parere, da un piccola scatoletta a forma di casa, sostenuta da un trespolo di metallo e sormontata da un foro a forma di buco della serratura, allusione, forse, al sesso femminile, e probabile citazione di un’opera famosa di Duchamp, conservata a Filadelfia.
Poggiando l’occhio sulla fessura sorprende lo sguardo un gioco di specchi che rimanda all’infinito la semplice forma della casetta, ma, ben più performante, la scritta, di freudiana memoria, Unheimliche. Parola che viene tradotta normalmente come perturbante o spaventoso, e nasconde in sé il termine Heimliche, segreto. Dunque lo spaventoso è un segreto svelato e rimosso. Edipo diviene cieco. Lo svelamento di un segreto, di un desiderio celato, nel caso di Edipo l’incesto, porta a galla lo spaventoso e la necessaria conseguenza di una cecità che presuppone uno sguardo lontano dal mondo, dal mondo degli uomini. Metafisica, appunto.