A proposito di Fortuny
di Silvio Fuso
“…J'aurais voulu entrer enfant dans un lieu comme celui-ci…”
(Yves Bonnefoy)
In effetti io ci sono proprio entrato, da bambino, in un luogo così; non era però un museo, bensì la casa dei miei prozii. Una casa normale, intendiamoci, lontana da sfarzo o lusso, ma arredata secondo il gusto del primo novecento. Alle pareti dello studio di mio zio le stoffe di Mariano Fortuny.
Le avrei riviste 15 anni dopo, proprio a palazzo Fortuny, in occasione di una serata di antiche canzoni lagunari organizzata da Giuseppe Mazzariol, allora direttore, tra l'altro, della sede veneziana dell'Università internazionale dell'arte, sita al secondo piano di palazzo Pesaro degli Orfei (il nostro Fortuny insomma). Passate poche stagioni cominciai a lavorare all'U.I.A., prima come assistente di Mazzariol poi come condirettore (e factotum) del pittore Mario De Luigi, nuovo direttore dell'istituto. L'Università, nata a Venezia e Firenze dopo i disastri del 1966, si configurava come un grande laboratorio, aperto al mondo, dove sperimentare e incrociare arte, progetto, restauro con la novità del visual design. Seminari, incontri, vita da campus ne erano la spina dorsale e la peculiare energia innovativa, anticipando modi e forme che sarebbero diventate in futuro patrimonio comune della formazione universitaria.
Al Fortuny soprattutto si viveva, mangiando insieme, talvolta addirittura dormendo tra quei fantastici muri gotici cosi da cogliere l'alito del passato e il rischio della contemporaneità....al riparo, per mia fortuna, da ogni sterile ‘art pour l'art’, partorita, magari, dall'ennesima bizza contemporanea dell'avanguardia.
Saper fare, saper spiegare e giustificare il proprio progetto con un occhio all'utopia sociale: Werkbund, Darmstadt, Bauhaus, Vchutemas, e, in fine, modo italiano. Forse era un po' il destino: lo studio di mio zio si affacciava sul cinema all'aperto di san Polo e questo attempato e ruvido musicista si dilettava di musical e commedie di Hollywood: la Ciaccona e papà Gambalunga!
Troppo lunga ed egoversa premessa, necessaria tuttavia, per rendere chiara la natura del mio contributo alla fortunata stagione del Centro di documentazione di Palazzo Fortuny e di quella altrettanto fertile, spero, del Museo omonimo.
Mariano Fortuny e la fotografia e attorno una vera factory che lavorava allo strabiliante repertorio di immagini scattate o raccolte dal "Mago"; nel 1978 la prima esposizione dedicata alle sue poliedriche attività, al suo inimitabile talento: quadri, stoffe, ricche vesti e le fotografie, naturalmente. Adesso chi non lo ammira? Ma pochi possono capire l'emozione di allora, prima mostra e primo successo per noi: Sandro, Daniela, Giorgio, José, Paolo e il sottoscritto. Nel titolo dell'esposizione il nostro programma: IMMAGINI E MATERIALI DEL LABORATORIO FORTUNY.
Credo che nel tempo si sia dato corso coerentemente a un progetto così vasto e impegnativo; abbiamo messo a frutto le esperienze di Mazzariol all'U.I.A. privilegiando le attività seminariali e i workshop, toccando dopo la fotografia,
la grafica e il video, il design e la pubblicità senza mai trascurare il museo e il suo creatore, anzi, mescolando, a suo nome, passato e futuro. E Fortuny c'è sempre: prendete la mostra dedicata ai Robot...
Beh, nella sua biblioteca abbiamo trovato libri dedicati al cinema di animazione e c'era anche Disney; se pensiamo al seminario dedicato al design della luce nel 1999, come non vedere lo stretto rapporto non solo con il rivoluzionario illuminotecnico teatrale, ma, anche, con l'aggiornatissimo esperto cui chiedere un parere, alla fine degli anni 30, per le grandi insegne luminose di piazza Duomo a Milano.
Abbiamo come operatori di un museo conservato le memorie affidateci? E come curatori pensiamo di aver realizzato iniziative efficaci per dar conto di nuovi contesti ed esperienze? Nessuna retorica, ma non sta davvero a me rispondere.
Sono però sicuro che, l'ideologia ‘en travestì’, le troppo "esperte" distinzioni disciplinari, la rincorsa spasmodica al trend, non ci piacevano.......e neppure a Fortuny, forse.