Eravamo a casa di Lucio Fontana…
di Andrea Schubert
Non ricordo come fossi arrivato lì.
Avevo 10 anni ed ero rimasto immobile nel soggiorno a guardare un prato appeso a un muro. Mi sembrava magico. Era un vero prato con dei frutti, forse d'orto, poco in sintonia con l'ambiente. Era quella che, qualche anno dopo, seppi essere un opera di Piero Gilardi, ma, allora, per me era magia pura. Si trovava nella grande sala di una bella villa, non molto distante da Lugano, dove ero andato con i miei genitori. Eravamo saliti in macchina e, dopo un viaggio di cui non ricordo nulla, eravamo arrivati a casa di Lucio Fontana.
Sentivo i miei genitori parlare, ma non li ascoltavo. Sapevo di essere in compagnia di un grande artista, cosa a cui ero ormai abituato, ma quella magia sulla parete era ancora al centro della mia attenzione e rimane l'unico ricordo che ho della villa.
Il ricordo successivo mi vede nello studio, poco distante da lì. Fontana di fronte a noi e in mezzo un tavolo da lavoro. Sul tavolo c'era una penna a sfera. Una Bic trasparente, come quelle che usavo a scuola.
C'era anche un foglio di carta e un punteruolo. Ricordo il viso di Fontana che parlava tranquillo, sereno, poi il silenzio. Un interminabile silenzio. Io lo fissavo come poco prima avevo fissato l'opera di Gilardi. Con movimenti lenti (forse una lentezza esagerata dal ricordo infantile) e con sguardo basso sul foglio, lo vidi tracciare deciso e senza esitazione un cerchio.
Con calma lo vidi appoggiare la penna e prendere il punteruolo. Stavo trattenendo il fiato, consapevole di assistere a qualcosa di importante. Poi rapido, violento, scaricò una gragnuola di colpi sul foglio. Sobbalzai. Ricordo il rumore che nello stanzone riverberava come un unico e lungo suono.
Il pathos di quella scena me lo porto ancora dentro. Poi il ricordo finisce, con lo spegnersi dell'eco e le mani di Fontana che sollevavano l'opera per mostrarcela.
Quando penso a Fontana, penso a quell’eterno momento di concentrazione. La lentezza del primo gesto a racchiudere lo spazio in un cerchio e la rapidità dello scaricarsi dell'energia accumulata con una rapida sucessione di colpi, quel gesto, deciso, spontaneo, incontenibile, per liberarsi “oltre”.
Anni dopo lessi un pamphlet intitolato "lo Zen e il tiro con l'arco". Io sapevo già tutto, grazie a Fontana.