Egolatria, tra idillio e incubo
di Luca Violo
“Amare sé stessi è l’inizio di un idillio che dura una vita”, è un graffiante aforisma di Oscar Wilde che riassume con geniale sintesi quanto il culto di se stessi sia insito nella natura dell‘uomo e ancora più accentuata negli scrittori e negli artisti che di questo rapporto confidenziale traggono ispirazione per le loro opere.
Così come la Recherche di Proust è un sublime monumento alla memoria che si costruisce nello scorrere inesorabile del tempo, la serie infinita di autoritratti di Rembrandt celebrano la bellezza e la caducità delle umane sembianze.
Ogni opera creativa cela o rende manifesta l’incessante ricerca su se stessi di chi la prodotta.
La vita che brucia nel piacere dell’abisso dei sentimenti in Cindy Sherman, o nelle michelangiolesche nudità di Robert Mapplerthorpe, nel terrore senza espiazione di Damien Hirst, nella forma indefinita dello spirito di Gerhard Richter o nella forza salvifica della luce di Ólafur Elíasson.
L’egolatria è una risorsa inesauribile per ogni artista che scrive con parole, forme e colori il riflesso di un sentimento che aspira all’eternità. Ma in una contemporaneità incerta che mitiga la propria angoscia con infiniti selfie che riflettono una voragine dell’anima che non ha mai fine, l’idillio diventa un incubo che nessuno riesce a vedere, e una colpa da scontare giorno dopo giorno.