Delphine Seyrig, un ritratto.

 di Maurizio Barberis

Una donna. Regista ma soprattutto attrice, e che attrice. Alfiere dei diritti delle donne, militante femminista, figlia vagabonda di un padre archeologo, nasce in Libano e muore a Parigi. Giovanissima parte per NY, dove frequenta il mitico Actors Studio, quello fondato da Elia Kazan, e là apprende i primi rudimenti di una recitazione essenziale, fondata sulla psicologia dei personaggi. La sua prima parte, giovanissima debuttante a NY, in uno strano film, Pull My Daisy, Strappa la mia Margherita, da una poesia a tre mani di Ginsberg , Corso e Neal Cassady, diretto da un grande fotografo, Robert Frank, interpretato dallo stesso Gregory Corso assieme ad Alan Ginsberg. Uno spaccato di vita nella NY della Beat generation, dove recita, un po' spaesata, la parte di una giovane pittrice, abitata da un loft piuttosto malmesso. Non viene citata nei titoli di coda ed è molto lontana dai cliché di femme fatale, di donna elegante ed eterea, che ne segna il successo e caratterizza tutta la sua carriera successiva.

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Al contrario trova la sua più completa espressione e valorizzazione con il suo primo grande mentore, quell’Alain Resnais autore di uno dei più enigmatici e imbarazzanti film della storia del cinema,’L'Année dernière à Marienbad’, dove recita in coppia con Giorgio Albertazzi. Il Film si ispira al celebre racconto di Adolfo Bioy Casares L’invenzione di Morel. Leone d’oro a Venezia, ed è strutturato come una continua distopia temporale, laddove i tempi e gli spazi si confondono, sovrapponendosi, attraverso un gioco di continue riposizioni e ripetizioni del medesimo. Sensazione, ricordo e memoria si tingono di un’enfasi metafisica di vaga ispirazione bergsoniana.

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Al centro sempre lei, bellissima etera, irragiungibile e diafana, che rende con precisione assoluta lo spirito di un eterno femminino sempre in fuga e sempre presente. Nulla sappiamo di lei, non sappiamo chi è, non sappiamo da dove viene, neppure il suo nome. Si divide tra un marito rassegnato e un’amante ossessionato ed ossessivo.

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Recita inoltre con grandi registi, Bunuel e Truffaut e Marguerite Duras, tra gli altri. Con Marguerite Duras in uno straordinario ‘India Song’, dove audio e video non vengono mai sincronizzati, ma le voci degli attori protagonisti fluttuano in una specie di vuoto sensoriale. Si dedica tra l’altro al cinema autoriale come regista, assieme ad un gruppo di donne straordinarie, Chantal Akerman, Marguerite Duras, Agnès Varda e Ulrike Ottin, con cui fonda il collettivo Les Insoumuses, attivo negli anni 70\80. Una recente mostra al Reina Sofia, Defiant Muses, racconta la storia di quegli anni impegnati.

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Premonizioni. Ma torniamo al film, forse il più importante della sua carriera, in cui recita, trasfigurata e resa quasi irriconoscibile dalla fotografia di Resnais, il ruolo di una donna-fantasma, una creatura senza tempo, che ci pare di aver sempre conosciuto e mai incontrato.

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Nel film un dettaglio ritorna spesso: quello delle sue calzature. Un ritorno ossessivo, che si ripete nei momenti più enigmatici del racconto. La scarpa, è noto, simboleggia (freudianamente) la sessualità femminile, e in particolare la parte più segreta e desiderata del suo corpo. Una scena, tra tutte, particolarmente emblematica, si ripete, simile ma non uguale, per almeno due volte: una spaesata milady si aggira nell’immenso parco dell’hotel, tenendo un oggetto in mano, una scarpa con il tacco rotto. Una chiara allusione al frammentato e diviso carattere della protagonista? Ma ecco Truffaut che in Baci Rubati, ci racconta del povero Antoine\Laud, travolto da un’insana passione per la bella moglie del suo datore di lavoro, che guarda caso, possiede un negozio di scarpe. Marito interpretato da Michael Lonsdale, lui sì, nella vita, perdutamente innamorato della Seyner. Un amore infelice, a quanto pare, e mai dichiarato. Ma ecco, nel film, l’apparizione. Voci angeliche turbano il povero Antoine, mentre, nel retrobottega, riordina file di calzature femminili (sic). Scivolando fuori dal magazzino scopre la bella Delphine Seyner mentre si accinge a infilarsi un paio di scarpe. Un omaggio di Truffaut al film del suo amico Resnais? May be.

Folgorato dalla visione, Antoine cade vittima della più pericolosa tra le seduzioni, quella dell’oggetto incantato, perfetto nella sua diafana distanza, irraggiungibile nell’adorazione muta dell’amante virtuale.

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Delphine Seygner, infine. Muore nel 1990 a 58 anni per un tumore all’utero e vive ancora, nei nostri sogni, pur sepolta nello storico cimitero di Montparnasse. In buona compagnia.