Anamorfica
III. “…Come l’occhio meno s’inganna ne’ suoi esercizi che nessun altro senso, in luminosi, o trasparenti, ed uniformi, e mezzi…”
di Maurizio Barberis
“…L’occhio, dal quale la bellezza dell’universo è specchiata dai contemplanti, e di tanta eccellenza, che chi consente alla sua perdita, si priva della rappresentazione di tutte le opere della natura, per la veduta delle quali l’anima sta contenta nelle umane carceri, mediante gli occhi, per i quali essa anima si rappresenta tutte le varie cose di natura. Ma chi li perde lascia essa anima in una oscura prigione, dove si perde ogni speranza di rivedere il sole, luce di tutto il mondo. E quanti son quelli a cui le tenebre notturne sono in sommo odio, ancora ch’elle sieno di breve vita! O che farebbero questi quando tali tenebre fossero compagne della vita loro? Certo, non è nessuno che non volesse piuttosto perdere l’udito e l’odorato che l’occhio, la perdita del quale udire consente la perdita di tutte le scienze che hanno termine nelle parole, e sol fa questo per non perdere la bellezza del mondo, la quale consiste nella superficie de’ corpi sì accidentali come naturali, i quali si riflettono nell’occhio umano…” ( Leonardo, Dell’Occhio, in Trattato della Pittura, dal Codice Urbinate Vaticano)
L'occhio, macchina dello sguardo, è oggetto della prima rappresentazione anamorfica, disegnata da Leonardo Da Vinci e conservata presso la biblioteca Ambrosiana a Milano, parte del Codice Atlantico. Alcune illuminanti pagine scritte da Valery su Leonardo lo indicano come stratega di una rifondazione del processo che porta verso la conoscenza senza passare attraverso la concettualizzazione di un pensiero, grazie ad una metodologia che pone il retto vedere al centro dell’esperienza del mondo come Logos.
Leonardo, ci suggerisce Ruggero Pierantoni, è, in ogni caso, vittima consapevole di un vero e proprio tabù esplorativo nei confronti delle strutture fisiologiche dell'occhio, che pur essendo oggetto di un'argomentazione sistematica, non sembrano essere filtrate da un'esperienza diretta. L'occhio leonardesco contiene ancora un segreto, celato dall'allusivo tratto anamorfico. L'occhio, in quanto sede della vera conoscenza, non può essere aperto, ne più ne meno di quanto non possa essere svelata la forma dell'anima, pena la sua scomparsa. Come nell'apologo di Apuleio, lo sguardo indiscreto di Psiche fa svanire Amore, così lo sguardo analitico dell'intelletto, per troppo vedere, rischia di far scomparire per sempre i segreti che l'anima racchiude.
La rappresentazione che Leonardo fa dell'occhio, ci riconduce a testi arabi, che disegnano una sorta di curiosa schematizzazione, un'analogia formale tra l'occhio dell'uomo e la forma del cosmo: ordine + ornamento. Al centro di questo diagramma troviamo il cristallino, lontano dalla pupilla, sede dell'anima. La pupilla è la finestra attraverso cui l'anima vede il mondo, usando lo sguardo come un cieco usa il bastone e l'anamorfosi ne svela l’inconscio segreto, mettendo in stretta relazione Kosmos, ornamento, e Eidos, immagine.
La fondazione dell'atto visivo come ‘luogo’ della conoscenza trasforma peraltro un modello teorico, privo di una prassi, in un pensiero che attualizza la propria funzione attraverso un potere immaginativo, a-logico, fondamentale nel passaggio verso una modalità moderna del ‘conoscere la conoscenza’. Un modo di praticare la conoscenza, fondato sulle potenzialità attive della visione, che offre una nuova prassi interpretativa, basata sulla percezione. Il potere immaginativo della visione va ben oltre le possibilità di creare una connessione tra passato e futuro, per individuare un luogo, un recesso, in cui costringere il segreto della congiunzione dei mondi.
Se l'ornamento è diletto dell'anima, l'anamorfosi ne rappresenta la geografia immaginaria, l'iperbole simbolica. Il paesaggio disegnato dall'anamorfosi è il mondo nuovo dello spirito, dove Configurazione (Inhalt) e Forma (Form) coincidono in una perfetta aderenza di significati.
Il passaggio dall’allegoria al simbolo rappresenta dunque la volontà di una nuova concezione del sapere, non più oggetto di un movimento le cui parti si pongono come già date in un altrove senza trasformazioni, ma divengono soggette viceversa al costante fluttuare dell'interpretazione, in virtù del potere cangiante dell’analogia. Verità e rappresentazione si dibattono per la fluidità delle forme allegorizzate, contro la pietrificazione del movimento che il barocco introduce come cristallizzazione della superficie e del significato, profetizzando un sapere che si annuncia come apodittico, come assoluto eidetico, come fine del libero gioco dell'interpretazione.
L'idea si annuncia come soggetto razionale, come a-priori universale che ritrova la sua verità ontologica nella categoria della rappresentazione. L'essere soggetto alla parola diviene l'essere in quanto oggetto della rappresentazione e la materialità del mezzo confonde le forme del significato. Nell'impossibilità del metodo, tutto si confonde. Il logos sperimenta, novella Sophia, la caduta nel magma della Raffigurazione.
“……Perché gli scrittori non hanno avuto notizia della scienza della pittura, non hanno potuto descriverne i gradi e le parti. Ed essa medesima non si dimostra col suo fine nelle parole; essa è restata, mediante l’ignoranza, indietro alle predette scienze non mancando per questo di sua divinità. E veramente non senza cagione non l’hanno nobilitata, perché per sé medesima si nobilita senza l’aiuto delle altrui lingue, non altrimenti che si facciano le eccellenti opere di natura. E se i pittori non hanno di lei descritto e ridottala in scienza,non è colpa della pittura. Perché pochi pittori fanno professione di lettere, perché la loro vita non basta a intendere quella, per questo avremo noi a dire che essa è meno nobile? Avremo noi a dire che la vertù delle erbe, pietre e piante non sieno in essere perché gli uomini non le abbiano conosciute?..”
( Leonardo, Perché la pittura non è connumerata nelle scienze, in Trattato della Pittura, dal Codice Urbinate Vaticano)