Piovigginava quel giorno…
di Andrea Schubert
Ero appena rientrato da scuola e a casa non c'era nessuno. Non era la prima volta e non mi ero preoccupato. Avevo 12 anni ma di cose ne avevo già viste tante. Mi recai in cucina per cercare del cibo, ma neanche il tempo di aprire il frigorifero che squillò il telefono. Era mia madre che diceva di raggiungerla in galleria. Si doveva andare a mangiare al ristorante. Per quanto avessi provato a recriminare, di non averne voglia, mia madre tagliò corto: "Vieni ti aspettiamo qui, andiamo al Bagutta", attaccando senza darmi il tempo di replicare.
Mi rimisi il giaccone e uscii nuovamente di casa. Arrivato in galleria, bagnato, come si conviene a un dodicenne senza ombrello, trovai i miei genitori con Giorgio De Chirico e la moglie Isabella Far. Isabella non appena mi vide trasalì sgranando gli occhi. La vidi rovistare frenetica nella borsetta e infine tirò fuori un copricapo in plastica trasparente, imitazione fazzoletto triangolare. Me lo porse, compassionevole, per i miei capelli lunghetti e appiccicati sulla fronte e sulle spalle. Trasecolai. Mi allontanai di un passo, ma lei avanzando decisa e sempre più preoccupata, mi ficcò d'imperio il plasticoso e ridicolo copricapo, allacciandomelo sotto il mento con l’approvazione complice di mia madre, nel totale disinteresse di mio padre per la mia dignità offesa e lo sghignazzo sornione di Giorgio, che empatico capiva la situazione ma si sentiva sollevato dal fatto che per una volta le attenzioni di Isabella non si concentrassero su di lui e sulla sua salute.
Fortunatamente il Bagutta distava pochi metri dalla galleria e li potei liberarmi facilmente del ridicolo copricapo.
Arrivati al tavolo, velocemente de Chirico prese posto di fianco a mia madre, indicandomi la sedia tra lei e Isabella come posto assegnatomi. Con un cenno d'intesa "suggerì" a mia madre alcuni piatti tra cui scegliere, bisbigliandole nell’orecchio di farglieli assaggiare, mentre per se seguì scrupolosamente i consigli di Isabella. Lo osservai attentamente, consapevole della statura del personaggio, e durante il pranzo notai che ogni volta che Isabella distoglieva lo sguardo, lui prendeva una forchettata dal piatto di mia madre. Un tempismo perfetto e una strategia sicuramente ben nota ad Isabella, che peraltro fece finta di non notare.
Finito il pranzo tornammo in galleria dove già squillava il telefono. Era la nostra colf che ci riferiva della fuga della nostra scimmia, un macaco indiano acquistato di nascosto da mio fratello ed entrato (obtorto collo) nello zoo di casa. Fuggito dalla gabbia aveva fracassato una ceramica di Scanavino. Sentendo De Chirico le ragioni dell'agitazione gli si illuminarono gli occhi ed esclamò "perbacco che buon gusto la vostra scimmia!".
Non fummo abbastanza lesti a cogliere l'occasione per liberarcene facendogliene dono .
Li salutai lasciandoli alle trattative per le mostre che dovevano organizzare e andai a recuperare il quadrumane iconoclasta e i cocci dell'opera di Scanavino.
Qualche tempo prima avevamo incontrato De Chirico a cena, in quel di Lugano. Prima di sedersi contò i posti sincerandosi che non fossimo in tredici. Poi ci spiegò che a Parigi a cena con Breton e altri del gruppo si erano trovati in tredici al ristorante e lui non si voleva sedere, piuttosto usciva per trovare la prima donna che incontrava e invitarla a cena. Così, uscito, tornò con una ragazza che poi sposò. Isabella, che doveva aver sentito la storia centinaia di volte paziente non ascoltava rivolgendo gli occhi al cielo aspettando la fine dell'imbarazzante sceneggiata.