L’uomo della Mancha
La casa-teatro di Luciano Damiani al Testaccio
di Maurizio Barberis
Il film più importante, e forse l’unico tra quelli di cui Damiani si occupò come scenografo che val la pena di ricordare, fu ‘l’Uomo della Mancha’, con un Peter O’Toole protagonista, nel doppio ruolo di Cervantes e di Don Chisciotte, in gran forma e una super Sophia, gattona più che mai, nel ruolo di Dulcinea.
Così, quando andammo a trovarlo, trovammo il grande scenografo : un uomo della Mancha, deluso e un po’ affaticato, immerso nel suo Palazzo Labirinto, che in un certo qual modo ricalcava il testo del Cervantes, intriso com’era dei sogni e delle ombre di misteriosi giganti in forma di mulini a vento. Giganti, non pigmei.
Mancava Dulcinea ma, data l’età, ci sembrò abbastanza normale. La casa-teatro, un intreccio di ricordi, passati e futuri, dava la sensazione di un capolavoro incompiuto, ché lo spirito polemico e creativo del nostro non aveva del tutto rinunciato alla caricatura di se stesso.
Don Chisciotte, appunto, che trovò la sua Dulcinea nella piccola bimba nostra figlia, coccolandola e portandola in giro, ad esplorare quel luogo di meraviglie.
Diplomato all’Accademia di belle arti di Bologna, graziato da una prestigiosa borsa di studio del Collegio Venturoli, iniziò subito la sua carriera di scenografo negli spazi del teatro dell’Accademia, in virtù del consiglio del suo maestro di pittura, quel Giorgio Morandi noto ai più per la sua gentilezza scontrosa.
Infatti, ci raccontò, Morandi lo dissuase con fermezza dall’intraprendere la carriera di pittore; e così fu. Ma, come nelle favole, si trovarono a passare per quel di Bologna tali Strehler e Grassi, che, notando una sua pièce scenografica, lo acchiapparono al volo e gli fecero firmare gli spettacoli più importanti e prestigiosi di quel Piccolo Teatro Stabile di Milano. E, tra questi, converrebbe ricordare la Vita di Galileo, Le baruffe chiozzotte, Il giardino dei ciliegi, Il campiello e La tempesta, veri capolavori scenografici. Naturalmente altri registi lo accompagnarono nel suo viaggio terreno e tra questi Ronconi, Squarzina e Vittorio Gassman. Altri tempi, altri dei, e, forse, un pochino li rimpiangiamo. Non aveva quindi tutti i torti Damiani, se, chiuso nel suo palazzo incantato, soffriva di nostalgia per tempi ormai passati.
A Roma aveva fondato il celeberrimo Teatro di Documenti, con la complicità delle ‘sore’ romane sue vicine, che gli portavano sempre un piatto di minestra calda per confortarlo nelle lunghe sedute di lavoro ( Il ‘Di’ e non il Dei è fondamentale, per non confondere la memoria con il progetto. E così fu. )
Come un vero uomo della Mancha la sua chambre à coucher era vuota e spartana, di un’umile semplicità. in netto contrasto con la lussureggiante fauna del suo personale Labirinto.