Che ve ne pare del Bel Villaggio?
Centre Georges Pompidou, Paris, France
di Patrizia Catalano
Settantamila opere di arte moderna ovvero design, dipinti, arti grafiche, sculture, cinema, fotografia e arti multimediali, questo è in sintesi il Centre Georges Pompidou di Parigi, voluto dal presidente della repubblica francese Georges Pompidou (1969-1974).
Un’istituzione culturale dedicata ai molti linguaggi dell’arte, dotata di una biblioteca pubblica, un museo del design, aree destinate ad attività musicali, cinematografiche e audio-visive.
Insomma un modello che avrebbe cambiato il concetto di museo e di modo di usufruire la cultura, perlomeno in Europa e più in generale in Occidente.
Cosa succede quando il 31 gennaio 1977 si inaugura il Centro Internazionale d’Arte e di Cultura Georges Pompidou?
Un’emozione incredibile, perché l’edificio costruito da Renzo Piano e Richard Rogers era davvero una macchina del futuro. Una macchina di design – non perfetta si dice, ma impressionante per la Parigi di allora – che si era calata nel centro del Marais, nel cuore della capitale e aveva stravolto una città molto conservatrice, qual era allora Parigi.
La ville lumiere con il suo Beaubourg nuovo di pacca, fatto da due architetti ‘stranieri’, torna al centro il sistema artistico internazionale.
L’architettura decisamente trasgressiva, che poco interagiva con i bei tetti in ardesia e le architetture del XVIII secolo che la circondano, come si direbbe oggi, ‘spaccava’.
Sensazionalista, giocoso, radicale, colorato: questo era il nuovo tempio dell’arte moderna. Ma soprattutto, disinibito, come voleva la cultura sociale del periodo.
Beaubourg mette ben in mostra quello che generalmente viene celato nell’architettura, anche quella moderna: impianti e tubature segnano il volume di un corpo altrimenti anonimo.
Peggio, il brutto, il celato, si delinea come elemento di decoro, come marca che segna il nuovo prodotto contemporaneo.
“Questo è design bellezza!”, verrebbe da dire. Se non altro è marketing.
I due giovani ed allora ancora sconosciuti architetti che avevano convinto l’establishment francese a sì tanta innovazione, avevano, inconsapevolmente o meno, creato un paradigma con cui tutti da allora in poi avrebbero dovuto (o voluto) confrontarsi.
La cultura, l’arte, le mostre, diventano oggetto di consumo. Si va a Parigi perché si va al Beaubourg. Si entra nella grande hall e si fa parte del nuovo sistema dell’arte moderna e contemporanea.
Si salgono le (lentissime) scale mobili e dalle vetrate di plexiglass si ammira la piazza antistante che essendo un piano inclinato in ciottolato di pietra, permette alle persone di sedersi a terra come in un agorà.
Poi, a sinistra, si può vedere la grande macchina scenica di Jean Tinguely e Niki de Saint Phalle: la fontana Stravinsky (dal 1983). Ma soprattutto, si gode la città, le sue lievi alture, se ne percepisce la storia, i suoi splendori e le sue miserie, la sua innegabile bellezza.
Il Centre Pompidou diventa la nuova cattedrale dove è possibile vivere in prima persona un’esperienza autoriale. Si visitano le mostre, ci si lascia incantare dalle installazioni permanenti, si fa shopping al museo, si sfoglia l’ultimo catalogo al bookshop.
E poi c’è la caffetteria: finalmente al museo “si mangia”. Cos’altro si può volere di più?