FILIPPO II° NEL GIARDINO DELLE DELIZIE

 di Doriano Modenini

Dal Giardino delle Delizie di Jeronimus Bosch, dettaglio del pannello destro

Mi sono sempre chiesto come il trittico delle delizie di Bosch, cosi esplicito nell'illustrare diverse fantasie erotiche, avesse potuto suscitare l'interesse del cattolicissimo re di Spagna Filippo II° di Asburgo; un severo baluardo della fede che, affiancato al famigerato tribunale dell'Inquisizione, perseguì, condannò alla tortura e al rogo molti ebrei, ottomani, luterani e innocenti sospetti di eresia, stregoneria o discutibili comportamenti peccaminosi.

Dal Giardino delle Delizie di Jeronimus Bosch, dettaglio del pannello destro

Oggi, la figura di Filippo II° è oggetto di nuovi studi e alquanto rivalutarla, attribuendo allo spietato fanatismo dell'Inquisizione gran parte degli orrori commessi durante il suo regno. Non dimentichiamo che intorno alla metà del XVI° secolo l'Europa era nel caos provocato dalla diffusione della Riforma luterana, evento che spingerà la chiesa romana all'apertura del concilio di Trento e alla conseguente Controriforma. In Inghilterra, Maria Tudor, detta la Sanguinaria (Bloody Mary) faceva arrestare qualunque sospetto favorevole al protestantesimo, condannandolo alla tortura e al rogo insieme con i famigliari, comprese donne e bambini. Contemporaneamente, confidando nell'aiuto del cattolicissimo Carlo V^ di Spagna, Maria Tudor sposa il giovane figlio dell'imperatore, Filippo II°, che per pochi anni sarà re d'Inghilterra, benché senza poteri esecutivi. Un paio d'anni dopo il fallimentare matrimonio con Maria Tudor, morta senza dare alla luce l'erede sperato, l'imperatore Carlo V° abdica a favore del figlio e Filippo II° sale al trono di Spagna, imperatore di mezza Europa e delle Indie occidentali. Da lì a breve, il nuovo sovrano si ritira nel convento fortezza dell'Escorial e invia i propri emissari alla ricerca delle opere di Bosch per averle presso di se.

Dal Giardino delle Delizie di Jeronimus Bosch, dettaglio del pannello centrale

 Una "mania" curiosa quella del sovrano per il maestro fiammingo, considerando che nonostante il rigore politico, il severo Filippo era persona colta e sensibile e che suo padre, l'Imperatore Carlo V° era un estimatore di Tiziano, con il quale aveva stretto amicizia e una straordinaria confidenza. Com'è possibile che avendo avuto occasione di apprezzare il pittore veneziano, che oggi diremmo "all'avanguardia", Filippo fosse attratto dal fiammingo Bosch che nel tardo Rinascimento doveva apparire antiquato, rigido e inverosimile? La pittura di Tiziano è vibrante, fluida come la laguna di Venezia, viva nel colore e nella realtà ritratta. Filippo stesso si fece ritrarre più volte da Tiziano, come prima di lui fece suo padre, e certamente ebbe occasione di ammirare le carni maliziosamente sensuali della Danae o delle Veneri che il pittore veneto illustrava realisticamente e al cui confronto le nudità femminili nel Giardino di Bosch appaiono a dir poco asessuate.

Il maestro fiammingo non era sconosciuto alla famiglia degli Asburgo; in un raro documento del XV° secolo si attesta che il nonno del sovrano, Filippo il Bello, aveva commissionato a Bosch il Trittico del Giudizio, oggi a Vienna e che già agli inizi del XVI° secolo molte opere di Bosch si trovavano in Spagna presso importanti famiglie nobiliari, tra cui i potenti Duchi d'Alba. Guarda caso, proprio il figlio del Duca d'Alba, don Fernando, diventato priore dell'ordine di San Juan, consegna a Filippo il Trittico delle Delizie, insieme con altre opere di Bosch, da lui collezionate o avute in eredità. Significativo il titolo che diedero all'opera i frati dell'Escorial: "Lussuria". Il primo pannello, Il Paradiso Terrestre, fu interpretato come la creazione di Eva, origine di ogni male. Nel centrale Giardino delle Delizie, i frati videro una sorta di catalogo dei peccati carnali, le conseguenze dei quali avrebbero condotto i mortali all'inevitabile castigo raffigurato nell'inferno del terzo pannello.

Dal Giardino delle Delizie di Jeronimus Bosch, dettaglio del pannello sinistro

Pensare che ho sempre creduto che un'opera straordinaria come il Giardino delle Delizie si fosse salvata dal rogo dell'Inquisizione, grazie alla sua assoluta mancanza di morbosità. I presunti peccatori illustrati nell'opera, somigliano a innocenti bambini intenti a giocare, senza alcuna ombra di malizia. Chissà se anche Filippo II° li vedeva allo stesso modo? Probabilmente, no. D'altro canto, il mio è il sentimento moderno di chi, alla fine degli anni sessanta del secolo passato, condivideva gli ideali dei coetanei che si proclamavano "Figli dei Fiori", inneggiavano al libero amore e alla dottrina del "Fate l'amore e non la guerra". Un movimento giovanile che guardava con simpatia all'eresia dei Catari, ferocemente sterminati dalla Chiesa nel XIII° secolo. Diversamente dall'imperatore Carlo V°, suo padre, che scorrazzò guerreggiando per tutta Europa ma in privato si concedeva con un certo spirito autoironico, come dimostrano alcuni aneddoti riferiti a Tiziano, Filippo II° era distinto dall'aspetto severo e il carattere chiuso. Era un uomo cortese ma di poche parole, un sovrano che ai viaggi e alle mondanità preferiva la clausura dell'Escorial da dove governava i suoi regni con rigore e determinazione. Fu proprio in questo enorme monastero fortezza che Filippo II° raccolse le opere del suo stimato fiammingo. Detto ciò, sorge la domanda: come si approcciava un uomo simile al Trittico delle Delizie? Se le imbarazzanti figure dipinte fossero state vive e attive, le avrebbe condannate al rogo o insieme con esse si sarebbe concesso a una intima libertà che può essere trascesa solo nell'arte e nei sogni? La psicologia spicciola ridurrebbe la questione all'avido possesso dell'oggetto stimato, un dato di fatto che caratterizza buona parte dei collezionisti d'Arte, tuttavia, considerando la complessità di un uomo cui era già soggetta la metà del mondo, opterei per la più appropriata idea di compensazione.

Dal Giardino delle Delizie di Jeronimus Bosch, dettaglio del pannello centrale

Immagino Filippo II° aprire le ante esterne dell'opera e immergersi nel fantastico mondo di un Eden di Delizie che lo esorta a considerare diverse espressioni della natura umana. Nudità e gesti illustrati sono senza ritegno, impudichi e alla stesso tempo ingenui. Forse le prorompenti donne ritratte da Tiziano, provocano in lui disdicevoli pulsioni lussuriose ma i nudi di Bosch sollecitano fantasie impreviste, tali contraddizioni dell'anima di cui spesso il sovrano non è nemmeno consapevole. Elementi contrastanti che insieme convergono a un equilibrio, sicché i doveri imposti dal quotidiano sono compensati da insospettati piaceri e fantasie dell'indicibile. Jung descrive l'evento come un processo di individuazione che conduce alla realizzazione di se.

Dubito che Filippo ne fosse pienamente consapevole, ma entrando nel favoloso Giardino, di sicuro ristorava i sensi, affaticati dalla gestione di un impero, un conforto dal dovere quotidiano di condannare qualcuno a morte e finalmente riconosceva se stesso, non l'imperatore ma il pellegrino cui era concesso entrare nel sublime incanto del paradiso perduto.