Arte in ceramica
di Patrizia Catalano
La relazione tra Arte e Ceramica è antichissima e non ha bisogno di presentazioni. Questo perché la ceramica (e la terracotta), più di qualsiasi altro materiale, ha sempre creato un felice innesto tra l’universo dell’arte e quello della architettura, nonché degli oggetti d’uso. Parlando di arte e architettura, ci sono stati in Italia periodi aulici in particolare nel Mediterraneo in cui a partire dall’XV si cominciarono ad utilizzare le piastrelle di maiolica invetriata, posizionate con tecnica a squame, per rivestire le cupole delle chiese. Ricordiamo tra tutte quella più famosa, la cupola di San Giovanni Battista a Vietri sul Mare. Tale tecnica, ‘della terracotta invetriata’, ha permesso di fondere scultura e pittura, creando opere altamente resistenti agli agenti atmosferici. Invenzione che si deve a Luca Della Robbia che, a partire da 1440, la utilizzò per sculture, bassorilievi e formelle, la cui raccolta più ricca è oggi ospitata all’ultimo piano del Museo del Bargello a Firenze. Un altro grande periodo di utilizzo della ceramica in architettura fu certamente all’inizio del ’900. In tutte le varie declinazioni degli stili sorti in Europa dall’Art Nouveau, il De Stijl, il Liberty e il Modernismo catalano, la ceramica smaltata fu utilizzata come elemento decorativo e complementare per abbellire architetture pubbliche e residenziali.
Certamente alcuni autori più di altri ne fecero il manifesto della propria poetica e tra questi Antoni Gaudì in Catalogna con gli interventi per il suo Parco Güell (inizio 1900). Gaudì usò la ceramica per opere in muratura, in pietra arenaria e maiolica, giocando sull’innesto tra architettura e scultura e creando figure scultoree che divennero un po’ il simbolo del parco, tra cui l’iconica Salamandra, posizionata all’ingresso del suo artistico intervento. Tornando in Italia e alla seconda metà del ’900, la ceramica trovò nuova forza grazie ad alcuni protagonisti della scena artistica dell’epoca. Lucio Fontana, artista e scultore argentino, porterà l’arte ceramica applicata in molti spazi pubblici e tra questi il Cinema Arlecchino a Milano (progetto archh. Roberto Menghi - Mario Righini 1948), dove realizzò oltre a una figura di Arlecchino a parete, anche un fregio in ceramica policroma e vernice fluorescente, Battaglia, posto alla base dello schermo dove brillava nella sala al buio. Attualmente Battaglia è stato acquistata da fondazione Prada e posizionato al foyer di Cinema Godard a Milano. A proposito di relazione tra arte e architettura, di Fontana vanno inoltre ricordate le formelle applicate sui balconi dell’edificio via Lanzone, sempre a Milano (progetto archh. Vito e Gustavo Latis e Piero Cupello, 1949-50), grandi ceramiche con figure astratte che sembrano emergere da una materia pre-cosmica ancora oggi installate nel palazzo.
Interessante anche la relazione tra arte e architettura d’interni a opera dell’artista e ceramista umbro Leoncillo Leonardi. Leoncillo, nel 1947 fu invitato a partecipare a una mostra a New York, Handicrafts Fine Art in Italy. L’esposizione fu inaugurata il 2 dicembre 1947 presso la House Of Italian Handicraft (HIH), uno spazio studiato dall’architetto Gustavo Pulitzer Finali, situato sulla 49ma Strada, nel cuore di Manhattan. Per l’evento newyorkese, a dispetto di quanto pubblicato nel catalogo dell’esposizione (un libricino di poche pagine, la cui genesi fu davvero travagliata), Leoncillo realizzò appositamente degli oggetti di arte applicata da presentare all’estero per possibili acquirenti americani. I documenti conservati nell’archivio storico della Fondazione Ragghianti a Lucca, in particolare alcuni elenchi relativi agli artisti coinvolti, le opere prodotte e le spese effettuate per l’organizzazione dell’evento, ci aiutano a ricostruire le circostanze del coinvolgimento dell’artista, cui furono inizialmente commissionate due basi ceramiche per tavolo da pranzo e una serie di formelle per incorniciatura di camini. E se gli autori di quel periodo non si facevano problemi nel portare i loro manufatti in una direzione che li legava fortemente alle opere di architettura, viceversa gli architetti utilizzarono l’arte ceramica per rafforzare la propria espressività nell’ambito del progetto architettonico. Maestro in tale pratica fu certamente Gio Ponti, architetto, designer e teorico, di cui vale la pena citare, come un vero e proprio manifesto dell’arte ceramica, l’albergo Parco dei Principi a Sorrento (1960).
Interessante anche la relazione tra arte e architettura d’interni a opera dell’artista e ceramista umbro Leoncillo Leonardi. Leoncillo, nel 1947 fu invitato a partecipare a una mostra a New York, Handicrafts Fine Art in Italy. L’esposizione fu inaugurata il 2 dicembre 1947 presso la House Of Italian Handicraft (HIH), uno spazio studiato dall’architetto Gustavo Pulitzer Finali, situato sulla 49ma Strada, nel cuore di Manhattan. Per l’evento newyorkese, a dispetto di quanto pubblicato nel catalogo dell’esposizione (un libricino di poche pagine, la cui genesi fu davvero travagliata), Leoncillo realizzò appositamente degli oggetti di arte applicata da presentare all’estero per possibili acquirenti americani. I documenti conservati nell’archivio storico della Fondazione Ragghianti a Lucca, in particolare alcuni elenchi relativi agli artisti coinvolti, le opere prodotte e le spese effettuate per l’organizzazione dell’evento, ci aiutano a ricostruire le circostanze del coinvolgimento dell’artista, cui furono inizialmente commissionate due basi ceramiche per tavolo da pranzo e una serie di formelle per incorniciatura di camini. E se gli autori di quel periodo non si facevano problemi nel portare i loro manufatti in una direzione che li legava fortemente alle opere di architettura, viceversa gli architetti utilizzarono l’arte ceramica per rafforzare la propria espressività nell’ambito del progetto architettonico. Maestro in tale pratica fu certamente Gio Ponti, architetto, designer e teorico, di cui vale la pena citare, come un vero e proprio manifesto dell’arte ceramica, l’albergo Parco dei Principi a Sorrento (1960). Qui Ponti, con pochi modelli di piastrelle usati nelle declinazioni cromatiche del bianco e del blu, creò una pavimentazione differente per ciascuna delle 100 camere dell’albergo: “Ho fatto un albergo a Sorrento” dichiarò a suo tempo Ponti “e, benché non ve ne fosse necessità, ho voluto che ognuna delle sue cento camere avesse un pavimento diverso. L’ho fatto per il mio antico amore per la ceramica che, quando posso impiegarla, mi spinge a far di più di quanto mi si chiede”. Il linguaggio ceramico fu utilizzato da molti architetti del Dopoguerra di particolare efficacia, l’opera manifesto di Carlo Mollino, la Casa torinese sul fiume Po’, in cui buona parte delle aree di servizio furono rivestite da piastrelle in maiolica della tradizione vietrese. Il mondo contemporaneo non è così avido di ceramica, e perlomeno più parsimonioso di innesti autoriali come quelli citati. Unica eccezione il lavoro di Alfonso Femia, architetto generoso nell’uso di questo materiale. Viceversa, in ambito artistico, si segnala un forte ritorno all’utilizzo di questo materiale. Un esempio emblematico è Ceramic Bruxelles, la manifestazione fieristica giunta quest’anno alla sua seconda edizione, che si propone come una piattaforma di indagine e valorizzazione di un materiale che, a quanto pare, è tornato al centro delle ricerche artistiche, evidenziando l’interesse del mercato internazionale.
Takashi Murakami e Miquel Barcelò ad esempio, oltre ad essere due grandi autori del contemporaneo, sono appassionati di arte ceramica. Il primo, tra i più rappresentativi artisti del pop/manga giapponese, famoso per i suoi lavori in vinile, è avido collezionista di opere tradizionali e contemporanee in ceramica. Una passione iniziata fin dalla prima gioventù (oltre 1000 pezzi oggi) e che lo ha portato a possedere a sostenere questa tecnica e i nuovi talenti ad essa legata. Tra le molte esposizioni ricordiamo quella nella galleria Blum & Poe di Los Angeles, esposizione in cui Murakami presentò il lavoro in ceramica di tre giovani autori giapponesi, Kazumori Hamana, Yuji Ueda e Otani Workshop (settembre 2015. Ad amare particolarmente la terracotta troviamo anche lo spagnolo Miquel Barcelò. La scoprì in Mali nel lontano 1994, dove, trovandosi privo degli abituali materiali di lavoro, imparò dalla tradizione locale a impastare, lavorare e seccare al sole la terra cruda. Una passione che ha portato avanti anche in seguito, riprendendo anche le tecniche di lavorazione catalana, passione che ha toccato il suo apice nel video Paso Doble, realizzato insieme al coreografo Josef Nadj, in cui eseguono una serie di azioni su un muro di argilla fresca. Lo aggrediscono, plasmandolo, violandolo, infondendogli vita con oggetti e azioni convulse che ricordano le performance del gruppo Gutai. Il video, commissionato dal festival teatrale di Avignone e presentato nel 2007 è stato portato nei principali musei del mondo, e tra questi la Fondazione Beyeler (2023).