Totem e Tabù, 

ovvero il Mondo Capovolto

 Maurizio Barberis

SAM_533c.jpg

Tabù è parola polinesiana, divenuta popolare grazie all’antropologia e a Levi Strauss, e indica la condizione in cui oggetti e azioni sono isolati e vietati per i rischi che implicitamente comporta il contatto con loro.  Sono considerati tabù tutti gli oggetti, azioni o persone, che sono portatori di una forza di origine più o meno incerta o per la loro natura intrinseca o perché hanno acquisito nel tempo una sorta di modificazione della loro sostanza profonda. Un oggetto diventa un tabù, e quindi potenzialmente pericoloso, quando per una rottura del suo livello ontologico (p.es. il sangue, come valore positivo portatore di vita, oppure come simbolo di violenza e sopraffazione) la sua natura diviene incerta e ambigua: tale ambiguità e quindi la sensazione di potenziale pericolo che trasmette, è di fatto un elemento fondante una nuova estetica, basata sulla nozione di rischio semantico.

 L’artista, come lo sciamano, è diventato ‘sacro’, mentre in una società polinesiana sarebbe stato, per lo stesso gesto, caricato su una canoa e abbandonato al largo della barriera corallina.  La provocazione inziale (la rottura del tabù) si trasforma, nel nostro sistema sociale, in un consenso generalizzato e acritico (un totem) nei confronti dell’autore, e tabù diventa osare una qualche forma di critica nei suoi confronti. E’ evidente quindi il vantaggio che nel nostro mondo comporta il fatto di infrangere dei tabù, il cui limite è stabilito solo dal sistema legislativo. Ma i tabù che escono dalla porta, evirati delle loro negatività, rientrano dalla finestra dei luoghi comuni, poiché tutte le società fondate sulla somma di una serie di divieti, alcuni espliciti (i dieci comandamenti) altri impliciti e nascosti, tendono a ripristinare divieti ancestrali sotto nuove forme di proibizione.

Infrangere i tabù dunque, grazie al lavoro di antropologi e psicanalisti, è diventato un elemento considerato universalmente dinamico e progressivo. Un oggetto, un oggetto d’arte, un qualsiasi manufatto artistico, assume valore nel corpo sociale, vita e dinamicità espressiva, potere aggregante e disaggregante, se possiede al contempo il valore positivo di appartenenza, ovvero il totem, assieme al valore negativo di trasgressione, il tabù. 

SAM_542b.jpg

Mentre il valore totemico di un oggetto ricostituisce il senso di una narrazione positiva, aggregante, di appartenenza culturale, sociale e spirituale, il potere eversivo della rottura di un tabù carica di forza uguale e contraria gli oggetti a cui vengono associati, generando una sorta di nuova energia, moltiplicando in tal modo l’efficacia dei linguaggi estetici. Laddove entrambi convergono in un’unica forma, l’uno garantendo un territorio, un recinto sacro in grado di esorcizzare la carica eversiva dell’atto, l’altro la risposta deflagrante dell’azione distruttiva (implicita nell’azione di superamento e di inclusione del dramma mitopoietico) ecco apparire il miracolo dell’arte. 

La decorazione, infine, intesa come una ‘sovrastruttura strutturale’, una sorta di pelle significante dell’oggetto, restituisce senso e valore all’azione distruttiva del tabù, reintegrando gli aspetti rituali della forma nella narrazione del mito.

Per ogni tabù infranto se ne creano subito di nuovi. La moda insegue da sempre questo mito: infrangere tabù estetici e comportamentali è il primo segno di originalità di un autore. Lo stesso avviene nel mondo del design, della comunicazione e dell’arte, dove l’infrazione di regole stabilite e codificate costituisce il primo esercizio scolastico di questi generi. Tra le quattro categorie individuate da Freud due risultano particolarmente interessanti ai fini di un percorso di ri-progettazione della consapevolezza del fare artistico:

 (+)la forma, o dell’ambivalenza emotiva, 

SAM_543.jpg

Il primo elemento, l’ambivalenza emotiva, apre uno spiraglio alla possibile trasformazione di un valore da negativo in positivo in virtù di una scelta di appartenenza totemica, dove l’emozione viene intesa come elemento strutturale della forma e del significato dell’opera. Un valore negativo, un tabù comportamentale o estetico, viene trasformato e assimilato attraverso il filtro della sua appartenenza semantica. Il binomio amore-odio ( costruire-distruggere) può quindi essere assimilato e tollerato  in virtù di un’appartenenza al territorio dell’arte. Gli oggetti non sono più ciò che sembrano, ma appaiono come una stratificazione di significati endogeni (le storie dell’IO) ed esogeni (le storie del Sé), che modificano radicalmente l’aspetto e la funzione delle cose, contribuendo in maniera radicale al tradimento delle nostre aspettative di chiarezza razionale.

È solo così che l’opera subisce la metamorfosi che porta alla sua sparizione come semplice oggetto, determinando l’apparizione, sullo sfondo di significati altri, dell’opera d’arte. Il mondo dunque diviene Mundus, non più come altro da noi ma come posto sullo stesso piano della nostra coscienza, integrato attraverso il gioco sottile della rappresentazione, prima figura  e solo successivamente imago. Possiamo quindi guardare all’opera come il soggetto di un percorso che ha come scopo la riconnessione dell’Io con il Mondo attraverso l’annullamento delle forme repressive dei tabù personali.

(_) La Follia, ovvero dell’ onnipotenza del pensiero creativo

202051_0.jpg

 Il secondo elemento, l’onnipotenza del pensiero creativo, integra il tema del tabù domestico e familiare riassorbendolo nel sistema dei valori socialmente accettati in virtù dell’appartenenza ai valori dell’arte. La funzione della relazione tra appartenenza totemica e potere sovvertitore del tabù viene ancora ritenuta necessaria,  esorcizzata dall’opera d’arte in modo analogo a quanto avveniva in ambito rituale nel mondo magico dello sciamanesimo.  Le ‘cose sporche’, storte, diverse, che la morale quotidiana non accetta, vengono proiettate in un mondo altro, quello dell’arte, e neutralizzate proprio grazie alla dimensione economica dello scambio, che sostituisce definitivamente il valore d’uso del pensiero animistico tradizionale.

b 15112.jpg

Un mondo nuovo si apre così al contratto sociale, laddove, come nella tana del Bianconiglio, le regole del viver civile vengono continuamente infrante e sovvertite, in una sorta di dogmatico dettato che rovescia continuamente i valori positivi riscattando le negatività del mondo attraverso le forza e l’appartenenza al territorio  dei valori economici dell’opera. L’opera è come un testo che dispiega tutte le sue infinite possibilità nella narrazione del Mito e che rimanda, nella sua ambiguità ermeneutica, a sempre nuove possibili connessioni, in un eterno gioco di posizione che non prevede chiusure, finiti, ma solo infiniti sentieri biforcantisi, infinite aperture a forme possibili e probabili.

Lo Spazio e il Tempo divengono così l’eterno labirinto fenomenico che ci separa dalla verità.

La Follia diventa veggenza quando l’Io e la Ragione, perduti i loro naturali confini, i riferimenti stabili, le quotidianità sensorialmente significanti, entrano in contatto con quell’oscura regione dello spirito che confina in modo permanente con l’orizzonte degli eventi, una linea sottile che ci separa dal mondo degli Dei, da quella terra incognita dove l’idea del Paradiso è stata riassorbita dopo la Caduta, l’orizzonte dove i simboli prendono forma trasformandosi nel linguaggio che gli spiriti usano per parlare con il mondo degli uomini.  Là, in quel punto di tangenza, sottile come un capello, nella presenza continua del simbolo, la coscienza individuale diviene profetica, oltrepassando la condizione umana e l’autore si fa creatore e interprete delle strategie dell’anima.

Rappresentare la forma senza designare la forma, (La grande immagine non ha forma?- Tao te ching) cogliendo le relazioni interne per mantenerne la sensazione e l’emozione, eliminare le differenze tra osservatore e osservato, consentendo al Mundus di emergere, non come oggetto ma come orizzonte di un complesso viaggio dell’anima di cui l’opera d’arte è segnale e traccia.  Il prezzo de pagare, passando attraverso queste Simplegadi, è la perdita della Ratio, il disciogliersi della coscienza individuale nel mondo noumenico, nelle coscienza del Sé, laddove la forma-figura coincide con l’idea di un paesaggio perennemente immerso nella luce di un’eterna alba dorata. 

+(/)- 

L’opera d’arte (/)  diviene dunque un ponte tracciato tra il mondo della luce e il mondo delle tenebre, una sintesi tra forma e veggenza, un dono concesso all’uomo per conoscere meglio sé stessi. L’opera quindi come ‘presenza’, un hic et nunc cui non serve alcuna didascalia o spiegazione, nessuna mappa orientativa, nessun manuale d’uso:

“...nel ricordo che ne conserva Epimeteo, che l’ha vista ritornare in cielo dopo una fugace unione, è un dono di suprema poesia quello che Pandora  gli ha recato. Il vaso non contiene.....mali sconosciuti lascia sfuggire, in una nube, uno sciame di immagini divine che gli umani non sono stati in grado di cogliere...”  ( Jan Starobinski, Larghezza,)

b 15136.jpg